La lingua della propaganda: ‘Il Fatto Quotidiano’

Osservare la lingua della stampa legata al fenomeno del grillismo, è un ottimo metodo per coglierne i sistemi di pensiero e i metodi della propaganda. Proviamo a tracciare qualche linea partendo da ilfattoquotidiano.it.

Analizzando la semantica e il lessico di titoli e articoli, possiamo facilmente accorgerci di come ricorrano spesso termini quali vergogna, inciucio, casta, regime, palazzo (in senso metaforico), trappola, truffa, mazzetta, affarismo, congiura, disinformazione, scodinzolare, caimano, verità, scandalo, complotto, spartirsi, spartizione, sporco, boomerang, compromesso e potere (sempre nella loro accezione negativa), gente, casino, demolire, illusi, illusione, terremoto (in senso metaforico), perdere, vincere, misfatto, strepitoso, partitocrazia, ecc.
Tutti termini riconducibili al campo delle opinioni e delle interpretazioni e che, quindi, difficilmente sono associabili all’oggettività, ai “fatti”, al racconto disinteressato e scientifico. Valori dichiarati (già dal nome) nelle presentazioni e nelle parole dei fondatori del quotidiano («Un giornale che racconta i fatti» – https://www.facebook.com/ilFattoQuotidiano/info). Continua a leggere “La lingua della propaganda: ‘Il Fatto Quotidiano’”

La fiducia nell’Ue scende ai minimi storici.

Mia traduzione per Daidaidai Milano dell’articolo di Ian Traynor apparso su The Guardian il 24 Aprile 2013.

La fiducia dei cittadini verso l’Unione europea è scesa ai minimi storici nei sei principali paesi dell’Unione stessa, sollevando questioni di fondo circa la sua legittimità democratica da più di tre anni nella peggiore crisi che l’Unione abbia mai conosciuto, come mostrano nuovi dati.

Dopo le crisi finanziaria, monetaria e del debito, tagli alla spesa e al bilancio, salvataggi delle nazioni povere da parte di quelle ricche e riduzione dei poteri sovrani alle pratiche politiche di tecnocrati internazionali, l’euroscetticismo è in così forte aumento da rischiare di alimentare politiche populiste anti-UE e vanificare gli sforzi dei leader europei per arrestare il crollo nel sostegno al loro progetto.

I dati di Eurobarometro, l’istituto sondaggistico dell’UE, analizzati dal Consiglio europeo per le relazioni estere (ECFR), un think tank, indicano un calo vertiginoso della fiducia nell’Unione europea in paesi come Spagna, Germania e Italia che sono stati storicamente molto favorevoli all’Europa.

I sei paesi presi in esame – Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Spagna e Polonia – sono i più grandi dell’UE, e rappresentano, messi insieme, più di due cittadini UE su tre; circa 350 milioni di abitanti su 500.

I risultati, pubblicati in esclusiva sul Guardian in Gran Bretagna e in collaborazione con le altre principali testate degli altri cinque paesi, rappresentano un incubo per i leader europei, sia nel nord ricco che nel sud malconcio da salvare, suggerendo una crisi molto più grande della politica e della legittimità democratica.

“Il danno è così profondo che non importa se si proviene da un paese creditore, da uno debitore, da uno aspirante membro o dal Regno Unito: tutti sono sfiduciati”, ha detto José Ignacio Torreblanca, capo dell’ufficio di Madrid del ECFR. “I cittadini ora pensano che la loro democrazia nazionale stia per essere sovvertita dal modo in cui la crisi dell’euro è gestita.”

I leader europei sono consapevoli del problema, ma del tutto in disaccordo su che cosa fare al riguardo; e devono ancora tirare fuori qualche proposta politica coerente per risolvere la contraddizione tra il mettere insieme i poteri economici e fiscali e il mandato democratico necessario per sostenere tali radicali cambiamenti politici.

José Manuel Barroso, il presidente della Commissione europea, ha detto al Tuesdaythis week che il “sogno” europeo è sotto la minaccia di una “resurrezione del populismo e del nazionalismo” in tutta l’UE. “In un momento in cui tanti europei si trovano ad affrontare la disoccupazione, l’incertezza e la crescente disuguaglianza, è venuta fuori una sorta di ‘stanchezza europea’ insieme a una mancanza di comprensione. Chi fa che cosa, chi decide cosa, chi controlla chi e che cosa? E verso dove stiamo andando?”

La caduta più drammatica di fiducia nella UE si è registrata in Spagna, dove il crollo del mercato bancario e immobiliare, il piano di salvataggio della zona euro e la disoccupazione galoppante si sono combinati insieme per produrre il 72% di cittadini “che tende a non a avere fiducia” nell’UE, con solo il 20% “che tende ad avere fiducia”.

Comparando i dati di fiducia e sfiducia nella UE alla fine dello scorso anno con i livelli del 2007, prima della crisi finanziaria, si rileva una caduta a precipizio del sostegno verso l’UE sceso ai livelli che c’erano prima in Gran Bretagna, ma che erano molto più rari nel continente.

In Spagna, la fiducia nell’Unione europea è scesa dal 65% al ​​20% in cinque anni, mentre la sfiducia è salita al 72% dal 23%.

In cinque dei sei paesi, tra cui la Gran Bretagna, la sfiducia prevale sulla fiducia per margini consistenti, mentre nel 2007 – con l’eccezione del Regno Unito – era il contrario.

Cinque anni fa, il 56% dei tedeschi “tendeva a fidarsi” dell’UE, mentre il 59% ora “tende a diffidare”. In Francia, la sfiducia è aumentata dal 41% al 56%. In Italia, dove la fiducia pubblica verso l’Europa è tradizionalmente stata superiore a quella della classe politica nazionale, la sfiducia nella UE è quasi raddoppiata, dal 28% al 53%.

Anche in Polonia, che con entusiasmo ha aderito all’UE meno di un decennio fa ed è il singolo più grande beneficiario dei trasferimenti di decine di miliardi di euro da Bruxelles, la stima è crollata dal 68% al 48%, anche se rimane l’unico paese preso in esame in cui la fiducia nell’unione è più alta della sfiducia.

In Gran Bretagna, dove Eurobarometro rileva regolarmente maggiore euroscetticismo, la sfiducia è cresciuta dal 49% al 69%, il livello più alto, con l’eccezione della straordinaria svolta in Spagna.

Un differente più dettagliato studio pubblicato questa settimana riguardo all’impatto avuto dalla crisi monetaria e del debito e dalle politiche di austerità che le hanno seguite ha anche rilevato enormi cadute in tutta l’UE della fiducia nella democrazia e nelle classi dirigenti politiche nazionali.

Lo studio per l’Ufficio di gabinetto della European Social Survey, la quale collega ricercatori universitari in tutta l’UE, ha rilevato che la crescente disoccupazione, l’ansia e l’insicurezza hanno eroso la fede verso la politica.

“I livelli globali di fiducia politica e soddisfazione verso la democrazia [è diminuito] in gran parte dell’Europa, ma in maniera da un paese all’altro. È significativo in Gran Bretagna, Belgio, Danimarca e Finlandia, particolarmente notevole in Francia, Irlanda, Slovenia e Spagna, e ha raggiunto proporzioni davvero allarmanti nel caso della Grecia “, si legge.

La crisi finanziaria “non solo ha eroso le condizioni economiche oggettive di molti cittadini, ma ha anche creato una diffusa ansia verso il futuro del Paese, anche tra coloro che non hanno vissuto direttamente le difficoltà”.

Di fronte a questa erosione della fiducia politica e delle percosse che la politica tradizionale sta prendendo da nuovi populisti come il movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo in Italia, i politici sembrano sempre più in perdita.

Lunedì, Barroso ha detto che le politiche di austerità applicate, soprattutto sotto pressione da Berlino, hanno raggiunto i “limiti di accettazione politica e sociale” e sono “insostenibili” nella loro forma attuale. Martedì scorso, però, la Commissione di Bruxelles ha cercato di remare contro le sue osservazioni.

All’interno della zona euro, la risposta fondamentale alla crisi, a parte i salvataggi, è stata quella di intraprendere una consegna sistematica dei poteri di bilancio e fiscali da parte dei governi e dei parlamenti nazionali a Bruxelles, allo stesso modo in cui è stato fatto con quei paesi salvati con la supervisione da una “troika” di tecnocrati ed economisti della Commissione, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale. Questi sono passi “federalisti” nel lungo processo di integrazione della zona euro che potrebbe vedersi trasformare da un’unione monetaria in un’unione politica.

“L’UE ha raggiunto la casa ed è qui per rimanere come un cane da guardia dei bilanci, dei mercati del lavoro, delle pensioni, ecc. Questo è senza precedenti, e rischioso”, ha detto Torreblanca. “Se non viene stabilizzata, si nutrirà il circolo vizioso tra populismo anti-UE e tecnocrazia che attualmente stiamo vedendo operativo.”

Barroso ha sostenuto con forza in due interventi di questa settimana che il federalismo è l’unica risposta alla crisi finanziaria dell’Europa e della sua fiducia. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, cercando di spazzolare via i diffusi timori di una nuova “egemonia” tedesca in Europa e la zona euro, ha anche detto che i governi devono rinunciare a molto più potere in favore di Bruxelles.

“Non abbiamo ancora trovato la risposta alla domanda se realmente siamo ora pronti a unirci in parametri economici comuni all’interno dell’area della moneta unica”, ha detto in un dibattito a Berlino con il primo ministro polacco, Donald Tusk. “Se vogliamo avere una moneta comune, un’Europa comune, dobbiamo essere pronti a rinunciare alle nostre abitudini duramente conquistate … Questo significa che dobbiamo essere pronti ad accettare che, alla fine, l’Europa ha l’ultima parola in certe cose. Altrimenti non possiamo continuare a costruire questa Europa … In un certo senso, dobbiamo saltare oltre le nostre ombre. Sono pronto per questo”.

Ma Tusk ha mostrato perplessità insolitamente forti perché le prescrizioni tedesche potrebbero portare crescente nazionalismo e populismo in tutta l’UE in una reazione negativa che è già ad un punto preoccupante.

“Non possiamo sfuggire a questo dilemma: come far sì che un nuovo modello di sovranità che limita la sovranità nazionale nell’UE non sia dominato dai grandi paesi come la Germania, ad esempio,” ha detto acutamente. “Sotto la superficie, questa paura sarà ovunque: a Varsavia, ad Atene, a Stoccolma. Sarà ovunque senza eccezioni.».

Anche Aart de Geus, capo della Bertelsmann Stiftung, un think tank tedesco, ha avvertito che la strada verso la cessione dei cedere poteri nazionali più importanti a Bruxelles sarebbe controproducente. “Il sostegno pubblico per l’UE è in calo dal 2007. Quindi è rischioso andare verso il federalismo poiché può causare una reazione violenta e scatenare maggiore populismo”.

A proposito del governo

Se tutti cominciassimo a comportarci da cittadini consapevoli e per bene, partecipassimo con intelligenza e cultura alla cosa pubblica, avessimo senso della comunità e il senso di far parte di un progetto comune, le cose andrebbero gradualmente (ma sensibilmente) migliorando e finalmente potremmo tornare ad essere un Paese di cui andare fieri. Se invece continuiamo a cercare colpevoli a cui affibbiare la responsabilità di ogni male, costruire immaginari nemici che affamano e distruggono, allora continueremo ad essere sempre il popolo di mediocri che siamo. 
Detto ciò, questo governo non è il frutto di un inciucio golpista ma semplicemente il risultato di anni di voto populista e deresponsabilizzazione dal proprio dovere di cittadini per inseguire sogni di ricchezza facile e rivalsa sociale. È il meglio che possiamo permetterci.

Le contraddizioni del comico urlone

Che la Storia fosse maestra di nessuno scolaro ormai lo avevamo capito. Ma che si ripetesse a distanze così ravvicinate non ce lo saremmo mai immaginati. Non ancora terminata la proiezione del film berlusconiano, infatti, il populismo gretto e volgare ricomincia a girare nelle pellicole del Movimento 5 stelle.

Nato dalla volontà di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, il movimento si propone di organizzare quei gruppi di persone che, dopo aver affittato il cervello al comico opinion-leader, si sentivano mossi da rabbia e livore contro una classe politica etichettata come causa di ogni male esistente e, perciò, soprannominata “casta”. Milioni di elettori, nelle ultime consultazioni politiche, hanno creduto che questa potesse davvero essere l’organizzazione giusta per governare il Paese e far sì, quindi, che l’interesse dei cittadini (la fattispecie di quest’interesse non è mai stata argomentata) prevalesse e fosse fatta giustizia. Le contraddizioni, la demagogia, il populismo nei propositi e nei programmi non sembrano essere visibili: tante idee a caso, nessuna struttura ideale, tanta voglia di vendetta contro la “casta” nemica di una “popolazione onesta (sic!) e laboriosa (sic! sic! sic!)” ma senza che questa lasci spazio a qualcosa di costruttivo.

Basterebbe solo guardare un po’ alla storia personale del comico urlone per accorgersene e capire che forse la strada migliore da prendere non è questa.

Nel 1988, questo simpaticone, viene condannato dalla Suprema Corte con l’accusa di omicidio colposo plurimo di 2 adulti e un bambino di 8 anni.
Nel 2003, il paladino degli onesti, si avvale del condono fiscale Berlusconiano – da lui più volte criticato perché premio gli evasori – per mettere a posto una sua villa.
Ne 2005, poi, secondo l’Agenzia delle Entrate, Grillo dichiara un reddito imponibile di 4.272.591 euro e nel 2009, nonostante si sia sempre dichiarato legato a Rifondazione comunista, la guardia di finanza rinviene una Ferrari, una barca a motore e una casa in Svizzera con tanto di conto corrente.
Nel 2009, nonostante avesse pubblicamente affermato pochi anni prima che non si sarebbe mai candidato e che non sarebbe mai entrato in politica, fonda il Movimento 5 stelle, ne diviene fin da subito leader indiscusso senza che mai se ne chiarissero gli strani rapporti con i Casaleggio e con le banche da lui più volte accusate di essere “le nuove mafie”.
Nel 2003 patteggia una multa di 4 mila euro al processo per diffamazione aggravata del premio Nobel Rita Levi-Montalcini, apostrofata, nel 2001, come “vecchia puttana”. Antifemminista per eccellenza, infatti, ha spesso rivolto alle donne epiteti del genere o altri che le descrivono come inette adatte solo a stare a casa e fare figli.
Nel 2013, poi, al grido di “tutti a casa!”, lancia il suo movimento (di cui continua a essere leader indiscusso) alle elezioni politiche e regionali con un programma imperniato solo sull’insulto alla classe politica e sulla volontà di sostituirla con “gente comune”.

La demogagia e il populismo sono arti vecchissime che si conoscono fin dall’alba della civiltà. Si pensi alle guerre civili nella storia romana, ad esempio; oppure al fascismo e al berlusconismo italiani. I risultati, come si può facilmente evincere, sono sempre stati catastrofici.